«Non tutti i peccati sono uguali» – Payoff del film di Sidney Lumet.

Onora il Padre e la Madre” è l’ultimo film del regista americano Sidney Lumet: uno sguardo lucido e disilluso sul disgregamento della famiglia.
Una narrazione frammentata dal punto di vista temporale, creata da più punti di vista che illuminano il senso generale della tragedia.

La storia si presenta semplice: due fratelli che, per aggiustare la loro situazione finanziaria, organizzano una rapina alla gioielleria dei genitori il cui triste epilogo porterà alla morte della madre.
Finale, o meglio, inizio del film che scoperchierà il vaso di Pandora.
Ad oggi, è possibile ritenere la famiglia un porto franco?
Lumet dimostra il contrario.

Per rispondere alla domanda è illuminante il dialogo tra il padre Charles, un boccheggiante Albert Finney, e il figlio Andy, un immenso e tragico Philip Seymur Hoffmann.
Charles, in cerca di redenzione dopo la morte della moglie, tenta una riconciliazione col figlio maggiore ammettendo di non essere stato un padre esemplare.
Andy a sua volta ammette di non essere stato il figlio che avrebbe voluto.
La scena si conclude con un sonoro ceffone dato ad Andy.
Frasi tragiche, ma indubbiamente vere e un epilogo degno di nota.
Nessuno dei due è in grado di perdonare e creare un rapporto autentico.
Nemmeno durante i momenti più tragici viene meno il delirio familiare: si rinfacciano colpe e si dà sfogo al proprio odio.
Colpe ataviche: come quella di non essere stato presente, così sentenzia Andy al padre. Il quale cerca una giustificazione: «Tu eri il primo e per il primo è sempre più dura». Parole che non leniscono il dolore, anzi l’aumentano.
Un dolore che mal cela la gelosia nei confronti del fratello minore Hank impersonato da un Ethan Hawke completamente fallito.
Due fratelli, un giano bifronte: in realtà specchio l’uno dell’altro.
Andy con una carriera lavorativa, moglie e soldi e Hank padre divorziato e indebitato.
Entrambi, però, figli distruttivi nati da una generazione che all’apparenza è riuscita a mantenere una decorosa stabilità fino alla vecchiaia.
Talmente distruttivi da tentare una rapina in casa propria.

L’altro perno del film infatti è il denaro, che uccide qualsiasi forma di sentimento.
D’altronde, se i sentimenti scompaiono che cosa può rimanere se non il denario?
Non a caso, l’organizzazione della rapina è legittimata dall’assicurazione che avrebbe risarcito i genitori senza far provare troppi sensi di colpa.
E avrebbe portato ai due fratelli un magro bottino per colmare debiti irrisori.

Agli occhi dello spettatore il tutto avviene all’interno di rispettabili famiglie che, nonostante tutto, restano piene di vuoti che risultano incolmabili.
Vuoti che solo attraverso l’atto estremo possono manifestarsi e porre fine alla tragica agonia.
Perché, in fin dei conti, il film è un concentrato di agonia.
Quella che spetta per l’eternità al dannato.

Non a caso il titolo originale dell’opera deriva dal proverbio irlandese: “May you be in heaven half an hour before the Devil knows you’re dead”.
Eppure, non tutti i peccati sono uguali, si legge nella postilla all’inizio del film.
C’è quindi una possibilità di redenzione?
Forse solo nell’atto finale, quando Charles, nel momento in cui lascia l’ospedale dopo aver soffocato Andy, viene inglobato da una luce bianca ed eterea?
No, c’è solo freddo individualismo.
Non c’è perdono e nemmeno un aiuto sincero, ma solo subdoli giochi di potere e ricatti morali.

“Onora il padre e la madre”, recita il detto, ma come poter onorare figure che non hanno adempiuto ai loro compiti fondamentali?
Questa è la rabbia cieca del figlio in cerca di una giustizia irraggiungibile su cui si stratificheranno rancori fino a colmarne il vuoto scadendo in pantomima.
Proprio come avviene durante il funerale della madre Annabette: una pantomima di dolore retta dai fratelli rei di aver commesso l’omicidio.
Solo quando il figlio diverrà “intero” questa rabbia potrà essere placata.

Nel monologo di Andy pronunciato sotto l’effetto dell’eroina è celato il senso.
«Il totale è sempre la somma della parti. È pulito, chiaro, limpido. Ma la mia vita quella non torna, è fatta di pezzi scompagnati e io non sono la somma delle mie parti. La somma non da un intero, un me intero».

La famiglia, quindi, spogliata da qualsiasi valore morale può ancora essere ritenuta un porto franco in grado di crescere persone integre?
Nel caso di non risposta, è possibile avvalersi di quella data dal pusher nel film a Andy: «Trovati uno psichiatra».

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