La questione di genere distrugge la concretezza della vita, lacera il singolo generalizzandolo in un’immobilità sacrificale.

La violenza si manifesta dove c’è immobilità. Dove il campo visivo si restringe così tanto da immobilizzare la testa dell’osservatore. Verso un punto che non ha concretezza, che è solo astrazione di chi l’ha oggettivato come realtà esterna, mortificandola.

È verso quel punto che l’Altro viene afferrato per capelli e trascinato. Dove non c’è più respiro, più memoria.
Immobilizzato, lì dove esiste solo l’attesa, l’istinto di sopravvivere al nulla. Un impulso che rende passivi tanto da accettare qualsiasi surrogato di vita.

La violenza tra esseri umani è il punto di arresto di Anima quanto di Animus: non si è in dialogo con il proprio essere, dunque non si può comunicare.
In una vita non vissuta e amputata si distrugge, si trasforma l’animato in inanimato.

Propagandare anti-violenza in termini di questione di genere è propagazione capillare di distruzione, in ogni ganglio della rete delle relazioni umane.
Un modo per immobilizzare le persone nel ruolo di vittime e trascinare con la forza in quella realtà mortificata il costume dell’intera società.

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