Ad un mese dall’esodo di Franco Battiato, pubblichiamo la lettera di Gianluca Magi richiesta e diffusa da RadioTalpa•Z per commemorare l’amico fraterno.

18 maggio. Ore 5.30.
Spalanco gli occhi in lacrime. Voglio scacciare dalla mente quel sogno che mi ha stralunato.
Pratico in meditazione il sesto livello del GdE. Socchiudo gli occhi. Dopo qualche minuto entro in uno stato che ascende alla Gioia.
Riapro gli occhi. Il sogno riprende il possesso della mia mente.
Faccio la consueta colazione: tè cinese drago-fenice, un kiwi. Poi caffè. Accendo il telefono e un cigarillo. Un sms di una cara amica mi precipita nello sconforto:
«Franco se n’è andato alle 5.30».

Lacrime come pioggia. Non ho la forza di fare nulla. È uno sforzo diramare il comunicato “Incognita in lutto” sulla mia pagina Facebook.
È un atto dovuto per chi in questi anni ha preso parte alle attività di Incognita, il centro transdisciplinare che fondai a Pesaro con Franco.
La giornata di lutto profondo viene straziata da campanelli di giornalisti che mi chiedono «commenti a caldo». Rispondo a tutti che è impossibile: «Sarei in grado solo di piangere in diretta».
Ancora oggi, ad un mese di distanza dal suo esodo, parlarne in privato mi strozza la voce in gola. In pubblico, sarebbe indecoroso.

Nel cuore dell’umanità appaiono figure ammirevoli che spandono su di noi Luce e consolazione dalla quotidiana miseria. Sono loro a fare la grandezza dell’uomo, e a sollevarci continuamente verso l’alto. Verso la nostra natura stellare.
Sono dei pilastri dello Spirito che sorreggono la realtà invisibile. Quella decisiva. Che compenetra incessantemente quella visibile.
Nel sufismo si chiamano Quṭb.
Quando viene a mancare uno di questi pilastri, la realtà vacilla.
Ci sono esseri speciali, sconosciuti o conosciuti, che per il fatto di essere vivi elevano le frequenze dell’esistenza. Franco era tra questi. Sans doute.

Franco è stato un amico fraterno che per vent’anni mi è sempre stato vicino. In tante avventure private e pubbliche.
Il mio affetto e riconoscenza nei suoi confronti sono enormi.

Dicevo: ci sono esseri umani che elevano la frequenza dell’esistenza.
Nel caso di Franco non era solo in forza della sua arte sublime che sollecita le parti più nobili ed elevate di ciascuno di noi, ma per il suo esempio vivente di spiritualità, intelligenza, humor, bontà d’animo e generosità. E di un’umiltà che ti lasciava a bocca aperta.

Oggi in questa Italia scialba e alla deriva, con pochissimi esempi viventi di tali qualità unificate e unificanti, dovremo fare ancora più appello al nostro principio interiore per mantenerle vive. E con esse, la nostra umanità. Lontana da egoismo, utilitarismo, corruzione, prevaricazione, ignoranza ed egemonia delle cose materiali. Che frantumano e dividono. All’interno e all’esterno.

I giorni precedenti al 18 maggio avevo messo mano agli appunti di alcune nostre conversazioni che costituiranno l’inedito per la riedizione, a settembre, de Lo stato intermedio, un libro del 2016 che avevamo scritto insieme e da tempo fuori catalogo. L’ultima nostra avventura pubblica insieme.

In quel piccolo/grande libro Franco scriveva:
«Il passaggio dalla vita a quella che chiamiamo morte è l’argomento rimosso dei nostri tempi. Ma in realtà la morte non è fine, non è inizio. Ma passaggio».
Io gli rispondevo:
«La morte è un velo gettato sugli occhi dei vivi. Se accettiamo le nostre trasformazioni, siamo immortali».

Ad un mese di distanza le lacrime si sono diradate e sento nuovamente che sì è proprio così.
Franco e ognuno dalla mente profonda sanno che il mondo della vita è un manto che accoglie e rinnova.

La Luce Franco è con te!
La Luce sia con noi!

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