La stanza nascosta di E(sote)rik Satie
Parigi 1° luglio 1925. Ospedale per i poveri.
Ricoverato per una cirrosi epatica irreversibile, ritorna al di là del velo, all’età di 59 anni, uno spirito bizzarro, irriverente, acutissimo: Erik Satie.
I giorni seguenti, alcuni amici intimi si recano nell’appartamento del compositore sulla collina di Montmartre, per ritirare le sue cose. Un appartamento talmente piccolo – due sole minuscole stanze – che Erik Satie soprannominava «L’Armadio».
Una delle due stanze sempre chiusa agli ospiti.
La aprono.
E cosa trovano?
Decine e decine di ombrelli, quasi tutti mai usati, di ogni foggia, colore e dimensione. Al contrario dei suoi celebri completi confezionati dai sarti parigini: tutti rigorosamente uguali nella foggia, nel colore e nel tessuto, di velluto.
Con gli amici di Erik Satie siamo entrati nel suo «Armadio».
Ora ci addentriamo nel suo universo musicale.
Non attraverso i suoi spartiti – illeggibili e senza indicazioni – ma attraverso quei due elementi della sua quotidianità in rapporto alla sua musica. Musica che Satie chiamava «da tappezzeria». Espressione che usiamo ancora oggi per descrivere la musica d’ambiente.
La rutilante collezione di ombrelli tutti caratteristici e diversi l’un dall’altro è la vorticosa intuizione armonica di Satie; poi ripresa, sviluppata e impiegata da tanti musicisti successivi.
E lo stesso identico modello di completo in velluto?
È il seducente immobilismo delle linee melodiche delle sue composizioni.
Questi due opposti si congiungono e danno vita a “figli” stupefacenti: opere sfuggenti, inafferrabili all’ascolto, fisse su precisi accordi le cui minime variazioni d’intervallo producono strutture melodiche ipnotizzanti.
Rarissimi i compositori in grado di creare una tale ricchezza musicale “visionaria” con così poco materiale armonico.
Il Labirinto della prima delle sue sette “Gnossiennes” attende ora il nostro ingresso.
Ci fermiamo un istante sulla soglia per un breve inciso sul termine “Gnossiennes”, coniato da Satie per indicare un nuovo tipo di composizione musicale da lui sviluppato tra il 1889 e il 1897.
Ritengo che questo termine non derivi dalla parola “gnosi”, come generalmente si pensa, a buon titolo, per il vivo interesse di Erik Satie per tale forma di conoscenza esoterica. Congetturo che derivi da una arcaica forma di traslitterazione del greco Κνωσός (Knōsós), Gnossus, cioè il palazzo cretese di Cnosso, i cui primi scavi archeologici coincidono proprio col periodo in cui Satie compone le “Gnossiennes”.
Bene. Attraversiamo la soglia della prima “Gnossiennes” ed entriamo nel mito di Teseo, Arianna e il Minotauro. Ovvero, nel Labirinto.
Il Labirinto sonoro disegnato da Erik Satie è una delicatissima architettura melodica che procede lenta, con tono malinconico vagamente orientaleggiante, ricca di trilli, con una serie di contrasti tra il piano e il forte.
È una struttura semplice, ma il tono minore, le frequenti ripetizioni del tema e alcune dissonanze inducono la percezione ad un dolce smarrimento, ad una indefinita malinconia, profondamente toccante. Come di una bellezza dimenticata, nascosta, che alberga in ciascuno di noi.
Esatto. Proprio come la stanza degli ombrelli di Erik Satie.
Questa è una delle ragioni per cui Erik Satie è considerato uno dei “Patroni” del Gioco dell’Eroe.
Scavando come archeologi nel nostro Labirinto, che parti nascoste, risonanti di noi troviamo a giocare nelle vesti di Teseo, di Arianna e del Minotauro?
Buon ascolto in/con tutti i sensi (cliccando sul Play).
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