«Vorrebbe un cioccolatino, signore?»
“The Palace”, l’ultimo imperdibile film diretto da Roman Polanski.
Una tragicommedia spietata che svela, con distaccata e ironica leggerezza, i fantasmagorici bug dell’essere umano.
“The Palace” di Roman Polanski è la visione lucida e politicamente scorretta della realtà in cui ci troviamo immersi (o sommersi). La semplice trama, una festa per il Capodanno del 1999 in un prestigioso hotel, si trasforma ben presto in un carnevale trash in cui gli illustri ospiti si rivelano degli zirconi da quattro soldi. E come smascherare il tutto se non attraverso l’uso dell’ironia?
Polanski, infatti, gioca con l’ambientazione temporale del film riesumando l’isteria da Millenium Bug che, da iniziale problema riguardante la programmazione software, si trasformerà nella distruzione del globo terraqueo e dissotterrando per l’occasione attori ricostruiti dal chirurgo plastico.
Tante storie intrecciate per tanti grotteschi personaggi: c’è chi cerca un proprio tornaconto finanziario come Mr Crush (Mikey Rourke), ospite americano in bancarotta con uno stile a dir poco trumpiano (parrucchino biondo, colorito arancione e unghie da ungulato) che tenta la frode finanziaria servendosi di un “onesto” banchiere; c’è una povera Marchesa con un chihuahua che fatica a defecare sulla neve; c’è un vecchio miliardario che compra un prestigioso collier alla giovanissima compagna in cambio di sesso orale; c’è un povero chirurgo plastico che diventa servo di una élite a cui ha limato il naso e con la moglie handicappata; e ci sono i russi che sembrano proprio come nella realtà: cafoni arricchiti.
Non a caso, il ‘99 è anche l’anno che segna le dimissioni di Boris Eltsin: presidente russo riconosciuto, oltre che per i discorsi tenuti da ubriaco, anche per essere l’uomo fortemente voluto dal governo americano, in special modo da Bill Clinton. Tutto il resto è storia, come Putin che dirà di mantenere il potere al governo per soli 3 mesi.
Polanski svela le ipocrisie nel macro come nel micro giocando con ironici cliché: parrucchini che saltano per aria (ognuno di noi si chiedeva se Mikey Rourke avesse la parrucca); il vecchio che muore dopo l’orgasmo con un enorme sorriso in volto (John Cleese dei Monty Phyton); l’Ambasciatore russo che rimarrà chiuso nella cassaforte dell’hotel; il figlio povero e illegittimo alla ricerca del vero padre; il chihuahua con la tenia intestinale nonostante la dieta a base di caviale.
Ogni individuo è il frammento di uno specchio che riflette le più grette logiche individualistiche e consumistiche, in cui l’unico trait d’union è Hansueli, il concierge che tenta di accontentare chiunque.
Ammettiamolo, chi è che non si è sentito per un attimo come Hansueli se nella propria vita ha a che fare con questo tipo di persone?
I personaggi sono maschere di loro stessi, deformati da una chirurgia plastica alla “Crimes of the Future” di David Cronenberg, troppo sprezzanti per accorgersi delle loro fattezze imbarazzanti.
L’unico salvabile forse è Bongo (Luca Barbareschi), pornoattore in pensione che non millanta il glorioso passato, ma che viene riconosciuto addirittura dalla moglie con l’Alzheimer del dott. Lima.
La necessità, da parte dei lavoratori, di fare buon viso a cattivo gioco permette agli ospiti comportamenti aberranti: solo assecondando le follie momentanee si potranno avere mance o smancerie. Perché, alla fine, l’unica cosa che questi personaggi possono dare è il denaro: moneta sonante in cambio di confidenze, omertà e rapporti sessuali.
Ecco perché “In The Palace, They Live”: così come gli alieni di John Carpenter vivono grazie al controllo delle menti dei terrestri, le mummie plastificate dell’hotel vivono grazie al denaro che permette loro il controllo. Nessuno è immune da questa logica capitalistica, ricchi o poveri, ognuno si utilizza per il proprio tornaconto.
Per fortuna c’è l’allergia del concierge Tonino (Fortunato Cerlino) che, tra uno starnuto e l’altro, smaschera la finzione di certe dichiarazioni melense. “The Palace” è lo specchio di una società di imbecilli che si scattano selfie, di gente rifatta e ricostruita: questo è uno dei commenti di Luca Barbareschi, il produttore del film.
La bruttura fisica dei personaggi rispecchia quella morale: niente viene rispettato e, nonostante ogni dettaglio venga meticolosamente studiato dai lavoratori dell’hotel, dalle camere alle pietanze, tutto verrà consumato nell’accezione letterale del termine. Spregio completo per il lavoro altrui e per le pregiate materie prime: più volte durante il film si notano sigarette spente nelle pietanze e la scena finale mostra la devastazione completa in cui si mescolano stelle filanti, dentiere e parrucchini. Il caos completo da cui emergono il chihuahua e il pinguino mentre accoppiano.
The Palace non è “solo un film” e sicuramente non è stato scritto da un povero vecchio geriatrico, ma è un’opera che punta la lente di ingrandimento su aspetti fastidiosi dell’umano contemporaneo: dal mito dell’eterna giovinezza alla paura della morte; l’individualismo sfrenato; la solitudine dilagante; l’arroganza che caratterizza questo secolo; il vizietto del potere.
Qual è la differenza tra ricevere un’inestimabile collier di diamanti prima di un pompino o una lauta mancia dopo un rapporto sessuale? Probabilmente nessuna, se non il potere che si ha sull’altro. Tutto quindi è bene che rimanga velato da una finta coltre di gentilezza per non smascherare i più grossi bug dell’essere umano. Un secolo che non vuole ammettere l’amarezza per aver introiettato i principi del consumismo, del liberismo e del capitalismo. Quindi, meglio sommergere “The Palace” sotto uno spesso strato di neve. Ma una verità svelata non può tornare ad essere sepolta, così come il figlio illegittimo, nonostante venga occultato prima nel night club e poi nella sala svago, tornerà sempre a galla.
Verrebbe spontaneo fare un collegamento con le cose che galleggiano, ma, forse, è meglio di no.
«Vorrebbe un cioccolatino, signore?»
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