Oggi – 24 agosto 1899 – nasceva il grande scrittore Jorge Luis Borges.
Da qualche parte il grande Jorge Louis Borges affermava che nelle antiche epopee il successo finale coronava le fatiche dell’eroe: Ulisse torna a Itaca, gli argonauti s’impadroniscono del vello d’oro, un paladino si guadagna la visione del misterioso Graal, Dante sale all’Empireo, e così via.
Noi contemporanei, dall’Ottocento in poi, abbiamo smarrito questa antica fiducia; pensiamo al capitano Achab che, dopo interminabili crociere, raggiunge la Balena Bianca e ne viene annientato; oppure ai racconti di Henry James e di Kafka ove il fallimento è scontato, anzi è il succo della narrazione; come nelle aporie di Zenone, la freccia non coglie mai il bersaglio.
Da quando l’uomo, e dunque il romanziere che è il rappresentante del sentire di un’epoca, ha perso questa antica visione è come se si fosse votato all’impotenza e fosse calata sui suoi occhi la tristezza. Una civiltà che abbia perduto le sue antiche leggende eroiche è condannata a morire di freddo. La civiltà che non avesse mai avuto miti sarebbe nata morta.
Per me è vitale nel nostro secolo occidentale cambiare la rotta dell’avvilimento e recuperare l’insegnamento delle antiche epopee eroiche, le quali altro non erano se non un cercare, da parte dell’Eroe, il disegno della propria sorte tra rovesci della fortuna ed «errori» assai simili alle disarmonie e alle tempeste che turbano ma non cancellano l’ordine delle stagioni.
Le antiche epopee rassicuravano che il fato trionfa dei frangenti fortunosi, che l’essenza è permanente e l’accidente temporaneo.
Le epopee erano una trasposizione popolare dei motivi spirituali.
– Tratto da: Gianluca Magi, “Gioco dell’Eroe. La porta dell’Immaginazione”, (Lindau 2022) con Presentazione di Franco Battiato e traccia audio per il download per la parte pratica.
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