Si stava meglio quando si stava peggio, o non si sta affatto?

Durante la giornata lavorativa, essendo costantemente a contatto con diverse persone spesso di età avanzata, è facile assistere a dialoghi intrisi di luoghi comuni o detti popolari.
Potrei stilarne una intera lista, solo di quelli che rispondono alla domanda: «Salve, come sta?». Dalla risposta paradossale «Da poveri vecchi», di certo poco perspicua, alla rassegnata «Non ci lamentiamo, c’è chi sta peggio», che dà per scontato che il sapere di qualcuno in condizioni peggiori possa far trascorrere notti migliori.

Nell’ultimo anno, dominato dal tema unico, è stato facile imbattersi nelle descrizioni più disparate inerenti al virus. Fra le esclamazioni più gettonate a supporto di determinate opinioni, troviamo in cima alla classifica:
«Perché non è toccato a te!»
«Perché non hai passato quello che ho passato io (o un eventuale caro, o il cugino di un amico)». 
Due frasi che ho sentito pronunciare sia separatamente, ma più spesso in sequenza, come l’una a rafforzare l’altra. 
Affermazioni all’apparenza banali, ma che nascondono risvolti complessi e drammatici.

Perché il mio pensiero dovrebbe mutare a seconda che sia io o no il protagonista dell’azione o del fatto?

Il primo luogo comune denota quanto nella realtà le analisi critiche che elaboriamo (o proviamo a elaborare) su date esperienze, siano troppo spesso pesantemente influenzate dalla nostra sfera emotiva. Il sentimento ci è intrinseco ed è alla base delle nostre percezioni cognitivo-affettive; ciò contribuisce a delineare o dirottare, anche inconsciamente, idee, scelte e decisioni nella vita. Ma se siamo in in balìa di un’emotività immischiata alla contestualità dei fatti che valutazione critica potremo mai produrre?Non discernere le due sfere conduce facilmente – considerata la propensione dell’essere umano – ad una alterazione emotiva dei concetti o dei fatti considerati.
Quello che all’apparenza è una considerazione contestativa tramite un luogo comune, può magicamente trasformarsi in slogan propagandistico suffragato dalla sfera emotiva, così come ampiamente descritto nel III Principio del libro Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura.

Annusiamo come gatti il secondo luogo comune in classifica. L’odore ancor meno piacevole che ci punge il naso è il pensiero individualistico che l’ha prodotto: quel porre in primo piano le esperienze personali e sullo sfondo quelle collettive, spesso a paradossale giustificazione di un concetto fittizio mirante al bene della società.
L’olfatto non capta forse nel suo odore quel disumanesimo che aleggia nell’aria e che infagotta il potere della collaborazione? Potere che ha contraddistinto l’essere umano nel corso della sua evoluzione. 

Se l’elemento coesivo della cooperazione è l’abbraccio di un’idea condivisa e partecipativa, allora salta al naso come nell’Era del Caos e dell’isolamento domiciliare forzato, il pensiero collettivo sia giunto sull’orlo del precipizio incalzato da quello individualistico. Individualismo attecchito nel terreno fertile del neoliberismo, affamato di competizione ossessiva e narcisistica (più o meno mascherata).

Diverse sono le strade per ricordare la necessità della capacità collaborativa. Ma credo che abbandonare la via del luogo comune (o porvi attenzione quando lo si ascolta o quando lo si utilizza), sia forse una delle prime da intraprendere. 

Fonti:
• Gianluca Magi “Homo Imaginans. Strategie dell’Immaginazione”, seminario AC Mind School, 18.10.2020.
• Gianluca Magi, Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura, Prefazione di Jean-Paul Fitoussi, Piano B, 2021: https://amzn.to/3umkWUn

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