La reductio “ad Pillonum” rischia di partorire una norma confusa e fuorviante.

Il DDL Zan è l’ennesimo tentativo di autodistruzione del fronte progressista. È persino emblematico perché raccoglie in un sol colpo tutti i tic che, in questa fase storica, infilano sistematicamente i progressisti in un vicolo cieco.

In questi mesi obiezioni su questo testo sono state sollevate da ambienti disparati. Due sono i nodi teorici su cui si sono concentrate le critiche.

Il primo è il confine, sempre sottile e rischioso, tra necessaria e vitale difesa della libertà di opinione e giusta e corretta tutela da attacchi e campagne di odio. Ovvero il pericolo è trasformare in una censura preventiva del dibattito pubblico la mannaia di un florilegio di procedimenti penali per reati di opinione.

Il secondo è la centralità nel testo della cosiddetta identità di genere. Un tema complesso e controverso, perché nella sua formulazione (che qui diviene testo di legge) la questione della identità sessuale diventa fenomeno di percezione, di autopercezione, mentre il dato biologico viene relegato come secondario.

Come si può ben comprendere, anche solo attraverso questo sunto estremo, ciò che divide non è affatto volere o non volere proteggere da omofobia e transfobia individui o gruppi di individui.

E infatti moltissime delle posizioni critiche sul ddl Zan provengono da voci influenti del femminismo, da pensatori e pensatrici laici, da un pezzo rilevante del movimento omosessuale (Arcilesbica), e anche da politici del PD e del M5S (I due partiti più impegnati nel sostenere il ddl Zan).

Come rispondono a queste critiche Zan e i suoi sostenitori?
Con la “reductio ad Pillonum“.
Se non sei a favore del DDL Zan, sei come Pillon: ultraconservatore, leghista, cattolico integralista, per la famiglia tradizionale ecc ecc.

Si tratta, con tutta evidenza, di una difesa sgonfia, persino priva di valore. E tuttavia funziona nell’immediato per silenziare obiezioni da parte dei meno corazzati. Nessuno, a sinistra, vuole essere Pillon e quindi meglio evitare di far funzionare il cervello.

Solo che, agendo così, si compie un doppio danno.

Da una parte si rischia di condurre in porto una legge sbagliata, con molte falle che potenzialmente aprono a ulteriori storture.
Dall’altra, come capita sempre più spesso a questa disgraziata famiglia progressista, per aderire a un conformismo di area si lascia il fronte delle obiezioni (anche quelle di buon senso) ad altri.

Insomma alla fine rimarranno solo i cantanti e gli attori con la scritta sulla mano. Sempre gli stessi, anzi sempre meno.

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