Consapevolezza, tempo e conoscenza: come la nostra esistenza ad alta velocità e poca riflessività possa non essere il modello unico di riferimento.
«La lentezza, è questo il segreto della felicità».
Con queste poche e semplici parole pronunciate da Monsieur Ibrahim, interpretato da un ispirato Omar Sharif nel film “Monsieur Ibrahim e i fiori del corano”, il regista Francoise Dupeyron lascia delicatamente risuonare sullo spettatore una riflessione sulla tematica del tempo di non immediata assimilazione, se non nel suo più superficiale contenuto linguistico.
Seguendo invece l’intero riverbero delle onde generate dalla visione di questo lungometraggio, si comincia a scorgere la complessità e la profondità del tema. È qui che inizia a farsi strada la possibilità, ad oggi completamente inattuale, di vivere un’esistenza che ci permetta di collegarci a quello slancio mistico relazionale con la divinità, accolta nell’attenzione della presenza, che ci faccia scorgere paradossalmente uniti e divisi dal tutto, come in una illuminante storia sufi sulla dualità della realtà (raccontata da Gianluca Magi nel libro Il tesoro nascosto a pag. 138).
Lo sforzo verso questa consapevolezza, nella sua finalità realizzativa, inizia a rendere l’uomo libero dalla meccanicità delle sue azioni e “ricordandosi di sé”, per dirla con Gurdjieff, egli può intraprendere l’osservazione delle azioni automatiche che guidano ogni istante e che gli infliggono l’illusione di avere il controllo della propria vita.
È proprio sfruttando questa immedesimazione inconsapevole con l’”io meccanico” che la contemporaneità tecnologico-algoritmica si insinua nella vita quotidiana, promuovendo e inculcando il mito della velocità del progresso che si alimenta copiosamente del superfluo desiderio legato alla maniacalità del consumo, dove persone più simili ad androidi sono proiettate e programmate ad ingolfarsi di oggetti, esperienze, materiale, viaggi, ricordi, vissuti e soprattutto informazioni che a getto continuo bombardano la mente che annaspa cercando momenti di riflessione in mezzo ad una vera e propria tempesta cognitiva.
Nel V principio tattico di manipolazione oscura di Goebbels, denominato “Continuo rinnovamento”, questo fenomeno viene equiparato ad un “maelström informativo” che prelude alla passività nell’obbedienza. Con sguardo lucido, oltre il velo che ci viene tenuto con forza sugli occhi, si scorgono scenari inquietanti di un presente che comincia a prendere pericolosamente le sembianze di un futuro che credevamo potesse essere tenuto in cattività soltanto sublimandolo nella migliore letteratura e filmografia di fantascienza.
La velocità esalta la meccanicità così da rendere impossibile l’assimilazione consapevole dei vissuti, frastornando il pubblico/popolo per renderlo cieco. Ma se, come ci insegna Monsieur Ibrahim, il segreto della felicità risiede nella presenza e nella lentezza, perché stiamo accelerando?
E se la crescita di un fiore in primavera, se compresa, potesse salvarci l’esistenza?
Fonti:
• “Monsieur Ibrahim e i fiori del corano” (2003) regia Francoise Dupeyron, 2003.
• Gianluca Magi, “Il tesoro nascosto”, Sperling & Kupfer, 2017: https://cutt.ly/kxLWLbN
• Gianluca Magi, “Goebbels e le 11 tattiche di manipolazione oscura”, Piano B, 2021: https://cutt.ly/RxGCEvG
• P.D. Ouspensky, “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, Astrolabio, 1976.
• “The social dilemma” (2020) regia di Jeff Orlowsky.