“Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura”, edito da Piano B con prefazione di Jean-Paul Fitoussi, è un volume prezioso scritto da Gianluca Magi – studioso di lungo corso per tanti anni professore universitario a Urbino prima di dimettersi – che conduce il lettore con rara profondità attraverso i dispositivi di condizionamento del potere.

Nel 1932, mentre la Repubblica di Weimar si preparava a un appuntamento elettorale cruciale, i seguaci di Hitler avevano già chiara una precisa scala di priorità. Joseph Goebbels annotava: «La propaganda dovrà svolgere la maggior parte del lavoro. Dobbiamo elaborare una tecnica perfetta sin nei minimi particolari». Risultato: i nazisti conquistarono 230 seggi e diventarono la prima forza politica nel Reichstag. Dentro una fatale miscela di fattori esplosivi, la «tecnica perfetta» aveva funzionato, e non per caso negli anni successivi sarebbe diventata regime, al pari della formula politica che sosteneva e di cui affilava le armi, adattava gli slogan, giustificava le nefandezze. In un gorgo di menzogna e violenza combinate per mobilitare l’immaginario e le energie di una nazione, col tragico successo che conosciamo.

Un successo scientifico, frutto di un laboratorio sofisticato e decisamente variegato. Perché Goebbels sapeva che le baionette non bastano, e talora non servono. Come aveva insegnato Le Bon, «i veri sconvolgimenti non sono quelli che ci empiono di stupore per la loro vastità e violenza: i soli cambiamenti importanti avvengono nelle opinioni, nei concetti, nelle credenze». Il che suggeriva di guardare verso il mondo libero, ad esempio verso le sottili forme di militarizzazione del pensiero elaborate nella democratica America. Dove non a caso, qualche anno prima, la stessa parola – propaganda – aveva dato il titolo a un celebre saggio di Edward Louis Bernays, che parlava di quanto fosse necessaria (e buona e giusta) la «manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia». Cosa che del resto l’autore aveva saggiato al fianco dell’amministrazione Wilson, allorché si era trattato di convincere la nazione ad entrare nel primo conflitto mondiale. Di quella già robusta tradizione – fatta di disprezzo delle masse popolari e di cinismo elitario – i Diari del ministro della propaganda nazista raccolgono gli esiti. Offrendo un’impressionante testimonianza della trasversalità strategica di quelle tecniche manipolatorie che copiosamente il Novecento avrebbe usato per i fini più diversi, e nei più diversi contesti politici.

Per questo Gianluca Magi ha deciso di riaprire quelle pagine. Nella consapevolezza di poterci ritrovare non una mera testimonianza archeologica, ma la chiave di un meccanismo universale da cui difendersi. E da qui nasce il suo ultimo volume, Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura, edito da PianoB con prefazione di Jean-Paul Fitoussi. Un volume prezioso, scritto da uno studioso di lungo corso – storico delle idee e delle religioni, filosofo, orientalista – che vanta una carriera costellata di successi editoriali e sperimentazioni audaci (non ultimo il laboratorio transdisciplinare Incognita, diretto con Franco Battiato) e che conduce il lettore con rara profondità attraverso i dispositivi di condizionamento del potere.

Un manuale di autodifesa, insomma, quantomai necessario. Che il grande circuito di promozione editoriale – avviluppato su contenuti rigidamente standardizzati – ha fin da subito espulso dalle proprie vetrine. A riprova del fatto che la bolla del mainstream non ammette di mettersi in discussione dal proprio interno. E che criticare i presìdi della chirurgia mediatica colpisce meccaniche vaste. Quando Magi ha accettato di conversare con noi è stato inevitabile partire proprio da qui.
[La lunga intervista, a puntate, a Gianluca Magi dal prossimo articolo IQ]

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