Un dialogo di Franco Battiato e Gianluca Magi sul “Libro tibetano dei morti” per restare vivi nell’epoca della tanatofobia.

Che Franco Battiato, scomparso lo scorso 18 maggio, fosse piuttosto sensibile a temi «metafisici» non è certo uno scoop.
Accanto alla sperimentazione, all’ibridazione di generi e registri, la sua musica trasmette una tensione verso l’alto che nemmeno il più straccione dei materialismi – ed è difficile immaginarne uno peggiore di quello odierno – è in grado di cancellare.
I suoi testi, diversi dei quali nati dal genio di Manlio Sgalambro, stanno a dimostrarlo, uno su tutti “Il re del mondo” (1979) che cita il celebre libro di René Guénon (a sua volta evocato, anche se in un contesto poco lusinghiero, in “Magic shop”) ed è contenuto nell’album “L’era del cinghiale bianco“, a sua volta citazione dello “Śveta Varāha Kalpa” hindu, ciclo in cui si trova l’umanità.
D’altronde, come disse lui stesso in un’intervista, «la musica per sua natura è anzitutto urgenza di trascendenza ancor più delle altre forme d’arte. […] Purtroppo oggi è espressa malamente, è troppo banalizzata».

Sono solo esempi di un interesse da molti relegato a New Age, tipica interpretazione di una società che ha fatto della spiritualità una merce fai-da-te, ma fondato in realtà su una pluralità di letture e frequentazioni, dai classici alla metafisica orientale e occidentale a Steiner, fino a Gurdjieff e a Massimo Scaligero.
Nessun gusto per l’esotismo, insomma, ma l’esigenza di indagare un sacro di cui oggi, da noi, quasi non c’è traccia.
A questo proposito, quando fecero il nome di Bergoglio, disse semplicemente: «Non ha idea di che cosa è Dio”.

La «metafisica» di Battiato emerge in un libretto appena pubblicato da Piano B, che raccoglie dialoghi tra il cantautore e il filosofo e orientalista Gianluca Magi.
Il titolo è programmatico, “Lo stato intermedio” (pp. 88, € 10,00), e si riferisce al “Bardo Thodol“. Noto al lettore occidentale come “Libro tibetano dei morti“, è però destinato ai vivi, dal momento che si legge al moribondo prima del suo trapasso nello stato intermedio (Bardo), che lo separa dalla nuova nascita.
In questa fase il defunto incontrerà una serie di figure, farà una serie di esperienze, per le quali occorre una preparazione prima della morte.

Nei dialoghi Battiato-Magi, questo apparente paradosso diventa il metro di paragone per leggere i caratteri di una società «tanatofobica», che fa di tutto per rimuovere la morte, continuando a proporre fughe in avanti.
Senonché, come dice Zhuangzi, «Ciò che per il bruco è la fine del mondo, per il resto del mondo è una farfalla».

La morte, leggiamo nel volumetto anti-euclideo, «è un velo gettato sugli occhi dei vivi».
Basta adottare uno sguardo differente, lo stesso incarnato dal lama Khangser Rinpoche, che Battiato incontrò: «Parlava di universi paralleli. Sembrava di ascoltare un fisico quantistico. Con la differenza che i tibetani ne parlano da oltre mille anni».

In un momento storico come quello che ci è stato dato in sorte, «intermedio» come pochi altri, il «Bardo Thodol» diventa il monumento di una «visione del mondo» differente: «Non è solo un libro per restare vivi dopo la morte, ma per diventare vivi dopo la nascita. Se facciamo in modo che vi sia vita dopo la nostra nascita, allora ci sarà vita anche dopo la nostra morte».

◼︎ Franco Battiato, Gianluca Magi, Lo stato intermedio, Piano B, Prato 2021; € 10,00.

– Originariamente pubblicato nella rubrica “I Mattini dei Maghi” della rivista “Storia in Rete”.

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