Thomas Mann, George Orwell e Martin Ritt. Un dialogo (im)possibile dell’era post-maccartista.
Il 5 Aprile il ministro della Cultura ha firmato un decreto per l’istituzione di una Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche. Attraverso l’Ufficio Stampa MiC il ministro dichiara che con questo decreto «è stata abolita la censura cinematografica in Italia».
Da quale forma di censura dichiara di liberarci?
Proviamo ad aprire dei varchi di riflessione sul fenomeno del contagio psichico con un dialogo (im)possibile dall’era post-maccartista.
GLI ANTECEDENTI DELLA MESSA IN SCENA.
In quell’America che è l’Altrove per lo scrittore Thomas Mann, il senatore Joseph Raymond McCarthy intorno al 1950 scatena un’ondata di contagio paranoico che prenderà il suo nome: “maccartismo”.
Tribunali inquisitori compaiono ovunque: negli uffici, sui giornali, negli studios, agli angoli delle strade e, per voce di delatori, anche nelle case. La libera espressione artistica e culturale viene rinchiusa in apposite Blacklist. Anche il più povero tra gli imprenditori che investe in cultura, cinema e spettacolo inizia ad ambire al potere di determinare l’offerta per il suo pubblico. Il pubblico si esaurisce completamente nel consumatore.
Gli uomini in Blacklist sono silenziati o camuffati dietro insospettabili prestanome. Il prestanome perfetto è chi non ha mai scritto, chi non può definirsi “impolitico per considerazioni” come Thomas Mann.
Nel 1955 McCarthy non serve già più ed alcuni, tra cui il regista Martin Ritt, escono dalla Blacklist. Molti altri ne restano imprigionati, in oblio.
IN SCENA. UN DIALOGO (IM)POSSIBILE.
Nonostante tutto, il Cabaret Voltaire è ancora aperto ed è gestito dallo stesso proprietario del bordello di fianco. Carmen attraversa la strada salutando l’uomo in mascherina che tiene al guinzaglio il maiale ed evita di passare tra i galli in combattimento. Un serpente striscia tra i suoi passi, mentre si avvicina alla soglia del locale. Non c’è ancora nessuno, ma è l’ora del caffè pomeridiano e presto arriveranno Thomas Mann, George Orwell e Martin Ritt.
Entrano che sono già nel vivo di un dialogo.
«Come stai, Carmen?», le chiede Thomas.
«La domanda oggi, mio caro è: Dove sei, Carmen?».
Le sorride accogliente e riprende il discorso sul produrre eventi attraverso le parole, proprio lì dove lo aveva lasciato.
George Orwell risponde: «Quella attuale non è un’età di pace. L’atmosfera sociale condiziona il concetto di “arte per l’arte” e condiziona sia il distacco intellettuale che il diletto. Il distacco sembra quasi impossibile quando tutto il sistema di valori è minacciato. Persino la poesia oggi si mescola al libello polemico o alla fantasticheria disturbante! La propaganda si annida nei libri imbruttiti dalla neolingua. L’intelletto si assoggetta ad un’opinione ideologizzata che rende impossibile l’onestà intellettuale. La scrittura come fatto di realtà fluisce solo da una creatività libera ed è questo il motivo della sua persecuzione. Quali sono i confini dell’arte e della propaganda?»
Thomas Mann: «Sto provando a sintetizzare le mie Considerazioni di un impolitico. Mi consola conteggiare in quanti han letto l’Ulisse di James Joyce per intero. Ma, la vera difficoltà adesso è che non ho ancora finito ché tra la Cina che ci fa da maestra di civilizzazione e i collaborazionisti della Disruptive Culture, rischio quasi di perdermi nel labirinto. Di perdere il filo della mia stessa Kultur. Nel 1949, quando ero un cittadino americano e c’era il maccartismo, testimoniai lucidamente una familiare preoccupazione verso certe tendenze politiche e ancora riscontro intolleranze spirituali, inquisizioni politiche, declino della sicurezza, azioni estreme compiute in “stato di emergenza”. Così ebbe inizio in Germania. Dovevo arrivare a 75 anni per vedermi accusato pubblicamente di mendacio in America da bruciatori di streghe, i quali non credevano a nessuno né ascoltavano alcuno tranne le loro streghe. Stanotte ho sognato che l’anno prossimo la Focara di Novoli la faranno con i nostri libri.»
Martin Ritt: «Gli aridi frame del mainstream richiedono ancora gesti simbolici come il suicidio di Hecky Brown. Mi riferisco al film “The Front” del 1976, da me diretto e realizzato con altri ex Blacklisted. Hecky Brown è interpretato da Zero Mostel, ed è un personaggio che fa il “comico per il comico”, clownescamente tragico. La scelta di Woody Allen per il ruolo del prestanome Howard Prince si è svelata vitale per l’umorismo. È in forza dell’humus che il prestanome lascia inascoltato il suggerimento del suo avvocato: accontentare l’Inquisizione con un gesto simbolico – la delazione – per dimostrar loro la sua buona fede.
Liberata dal gesto tragico è invece la sua dichiarazione finale in sede inquisitoria, quando non riconosce alcun diritto alle richieste. E conclude, non di meno, con un opportuno invito agli inquisitori ad andar dove è giusto ch’essi vadano: a prender cosa, come e in qual posto.»
Ne hanno ancora per un bel po’ e la stanza è piena di fumo. Meglio che Carmen corra ai fornelli per la cena di suo marito.
Esce [di scena] inseguita da un orso (1).
(1) Uscita di scena dal “Racconto d’inverno” di Shakespeare, quando, nell’acme del dolore del monologo dell’uomo che abbandona il cadavere della figlia nel fiume, Shakespeare annota: «Ed esce inseguito da un orso». Nel periodo del teatro elisabettiano correva la moda dei combattimenti tra orsi per le strade.
Fonti:
• Ufficio Stampa MiC, Roma, 5.4.2021, www.beniculturali.it/comunicato/20346
• Thomas Mann, “Considerazioni di un impolitico”, Adelphi, 1997.
• Gordon Kahn, “Hollywood on Trial: The Story of the 10 who Were Indicted”, prefazione di Thomas Mann, Boni & Gaer, 1948.
• George Orwell, “Il Potere e la Parola”, Piano B, 2021.• Loretta Innocenti, “Il teatro elisabettiano”, il Mulino, 1994.
• “Il prestanome” (1976) regia di Martin Ritt.
• Gianluca Magi, “Goebbels.11 tattiche di manipolazione oscura”, prefazione di Jean-Paul Fitoussi, Piano B, 2021. Riferimento al VI principio tattico “Contagio Psichico”, pp. 129-138: https://amzn.to/3umkWUn