Musica che ci libera dalla più grande affilizione: la prolissità del reale.

Dopo quasi quattro anni di attesa, oggi finalmente esce “Propaganda”, l’album di debutto dei Kāma.
Già apprezzati in concerto durante alcuni ottimi tour, si sono affinati in itinere, dopo un ben accordato lavoro di squadra, una fitta collaborazione di musicisti e la brillante produzione in studio di Paolo Maggitti.

Ascoltiamo insieme questo diadema musicale per ascoltatori esigenti. 



La prorompente “The Man of the Crowd” spalanca le porte al protagonista dell’omonimo racconto di Edgar Allan Poe che si aggira nel mondo dei bassifondi di Jean Genet al ritmo di elettronica dance à la Depeche Mode, linee di basso Motown, controcanto di chitarra e antitesi di marimba, sassofoni, voci celesti intrecciate a quella principale del frontman. “L’uomo della folla” è un’entità perfetta che, riunendo in sé tutti i desideri umani, diventa un concentrato di disagi.


Una risata distante e deformata – la sua? – si trasfigura in “As She Laughed”, secondo brano dell’album, avviato da un enfatico riff di chitarra che strizza l’occhio ai Sonic Youth e a Glenn Branca. Le penetranti ripetizioni melodiche e ritmiche, la sensuale voce femminile di Chiara Colantoni in risposta a quella del frontman, Cristoforo Magi, innalzano un sentimento energico e deciso, che evoca i primi Dead Can Dance.


Un taglio aggressivo che vira repentinamente in una ballata alt-rock di pixiesiana memoria, scosta il sipario di “How Do You Want Your Name?”. Mentre il caldo canto assume una melodia e un ritmo proprio nel descrivere il corpo dell’amata cangiante in molteplici fogge (Hans Bellmer e Man Ray, sono citati nel testo e nel videoclip), gli arrangiamenti suonati con raffinata eleganza compositiva si risolvono in un’orchestra poliritmica: in omaggio ai “Glassworks” di Philip Glass.


Un altro interrogativo schiude il brano fratello del precedente: “Is this too Vague?”. Qui l’imprevedibilità regna sovrana: l’iniziale ballata nello stile di Elvis Presley viene improvvisamente dirottata verso altre velocità e sonorità puramente rock, attorno alle quali s’intrecciano la voce maschile e femminile, per deflagrare nella finale improvvisazione free jazz à la Ornette Coleman, con assoli di trombe e ritmi sghembi. Quando si dice che l’ascoltatore prova l’erotico piacere di essere colto alla sprovvista!


Il lato B di “Propaganda” decolla con “Is it so or not”, brano dalla struttura semplice e immediata, in cui l’energia sonora incrocia rumori industriali dal sapore ironico per mettere in risalto la parte vocale che s’interroga sul rapporto realtà-immaginazione. È lo strano incontro tra gli Smiths e gli Einstürzende Neubauten.


Prende poi vita, nell’unico brano strumentale dell’album, un distante piano ad anello nel quale le arie dei violoncelli di Eleonora Yung tramano un prezioso broccato. Si è rapiti in luoghi sconosciuti posti al di là dei confini del mondo. Ci si addentra, in forza dei suoni spaziali sul finale, nella misteriosa dimora di “Kaidara”. 
“Kaidara” è un racconto iniziatico, nelle sembianze di ingenua fiaba, della tradizione orale africana tradizionale: insegna a vedere in tutti i personaggi del destino di ogni vita maschere del Tessitore. «I simboli che avete veduto non furono creati invano» – dice Kaidara – «Molte genti sono state travolte per averli sdegnati».


Mentre ci si rammarica della così breve durata del brano, al pari di quegli istanti di commovente magica bellezza, ecco irrompere, riportandoti nel mondo, il punk techno di “We always want what we haven’t got”. Alla voce del frontman, rispondono gli squilli metallici del sassofono di Sabatino Matteucci, la penetrante batteria acustica di Antonio Donadeo, gli assoli di chitarra di Luigi Maggitti, le tastiere e il basso di Paolo Maggitti, le ambientazioni di rumori generici che danno vita, nel ritornello, ad un vero e proprio caterpillar sonoro che non lascia spazio a dubbi verso la lampante, quanto trascurata, verità: desideriamo sempre ciò che non abbiamo.

Un dirompente giro di basso new wave unito ad un’impetuosa introduzione di chitarra – l’omaggio ai Joy Division e New Order vuole essere chiaro come la luce del sole – dà corpo alla formula Elegant rock di “Melancholia”: nel susseguirsi delle strofe, la voce maschile e quella femminile giocano sulle corde di un arpeggiatole elettronico, di un’ardente batteria che apre una radura sonora in cui, con pura poesia sonora, sboccia il Lied di Schubert, cantato dal Soprano Carla Polce, «Du bist die Ruh, Der Friede mild» («Tu sei la quiete, la dolce pace»).


Il congedo dall’album ci consegna una perla da custodire: “Dream”. Attorno alla tromba di Fabrizio Bosso, è tessuto un sapiente damasco di elementi sonori, dinamiche basse alternate a spinte rock, vibrafono, marimba, timpani, per socchiudersi con un finale meditativo onirico che rielabora la lezione di Brian Eno, David Sylvian, Jon Hassell: «We are appearances that someone else is dreaming» («Siamo apparenze che qualcun altro sta sognando»).



Last but not least, parte integrante della poetica dei Kāma sono i videoclip curati dal videomaker Fabio Costantino Macis: stanze segrete dell’anima da cui osservare il chiaroscuro del mondo e la dimensione immateriale di questa vita. 
Guardateli/ascoltateli con la meritata attenzione: https://www.youtube.com/@kama-band-real


Grazie Kāma!

La vostra musica ci libera dalla più grande afflizione: la prolissità del reale.


Propaganda” dei Kāma è disponibile qui: kamasound.bandcamp.com

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