La narrazione mediatica e i trend topics dell’“uomo nuovo”: come la globalizzazioneannienta le differenze.

Anche durante gli europei di calcio abbiamo assistito al gesto di inginocchiarsi prima del fischio arbitrale. Alcuni giocatori lo hanno praticato sistematicamente, altri invece hanno deciso che andava fatto soltanto se lo facevano gli altri.
Non è la prima volta che lo sport lancia questo tipo di messaggio: lo abbiamo visto sui campi di football, da basket e perfino nelle aule del nostro Parlamento.

Il senso di questo gesto dovrebbe essere quello di chiedere la parità di diritti fra neri e bianchi a seguito delle troppe uccisioni “facili” dei poliziotti yankee ai danni degli afroamericani. Che lo sceriffo americano avesse il grilletto facile non è una novità, basta chiedere ai pellirossa com’è potuto accadere che oggi siano confinati nelle loro misere riserve mentre i loro bisnonni se ne stavano liberi a cacciare il bisonte. Ma nessuno s’è mai inginocchiato per il genocidio di quelle genti o restituito le terre dei loro avi. 

Il vento “buono e giusto”, quello democratico e mainstream, che sta soffiando in tutto il mondo ci vuole inginocchiati a chiedere scusa per dei crimini, che tra l’altro, noi non abbiamo commesso.
Mi è stato sempre insegnato che bisogna chiedere scusa dei propri peccati prendendosi la responsabilità delle proprie azioni.
Ma allora, di che cosa si sentono colpevoli gli ‘inginocchiatori’ di professione?

Io credo che siano colpevoli di distorcere la realtà e di manipolare l’opinione pubblica instillando nei milioni di cuori labili le loro ideologie globaliste che ci vogliono tutti uguali agli altri demonizzando così le differenze. Allora inginocchiatevi pure, ma non tirate in ballo la memoria di George Floyd.

C’è forse qualcuno che pensa che inginocchiandosi si possa lenire il dolore di un omicidio, di una discriminazione o di un abuso?
È battendosi il petto che ci libereremo dal Male, oppure è solo un’inutile passerella per nutrire il nostro smisurato ego?

Come Leonida dinnanzi a Serse, anch’io trovo grosse difficoltà a genuflettermi, perché la mia libertà sta nel guardare una persona di colore e di rendergli il diritto e l’onore di essere in primis una persona. Ella non è un diritto da garantire, non è né colpevole o innocente a priori.

Guardate le espressioni contrite di chi si genuflette e scorgerete una sorta di godimento nel sentirsi migliori, la tipica espressione di chi mixa assieme narcisismo e senso di colpa: «Noi siamo la parte migliore!».

La narrazione dell’odierno dibattito politico e sociale ci racconta che stiamo assistendo ad una battaglia fra “buoni” e “cattivi”, io invece credo che la battaglia sia fra chi vuole rimanere libero e chi invece decide, più o meno consapevolmente, di farsi guidare.

Narciso si specchiava nell’acqua, oggi i suoi discepoli necessitano del riconoscimento mediatico dei social, delle tv, dei parlamenti e dei grandi avvenimenti sportivi.
Questo è il self branding, amici miei, perché non c’è gusto ad essere buoni se non sei a favore di telecamera.

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