Anteprima del Seminario di Alessandro Serra, pluripremiato regista teatrale, autore della opera MACBETTU. A Incognita. Pesaro 20 giugno 2021.
L’oggetto della ricerca non deve essere il sovrannaturale bensì il mondo. Il sovrannaturale è la luce: se ne facciamo un oggetto lo abbassiamo. – SIMONE WEIL
Non c’è niente di misterioso che non diventa evidente e viceversa tutto ciò che è evidente nasconde in sé un mistero. – PAVEL FLORENSKIJ
ATTORE
“Gesto-azione-atto”
Sono le tre vie percorribili. In ordine cronologico inverso:
Gesto:
l’attore può gesticolare, ovverosia muoversi senza agire e senza presenziare. I movimenti della quotidianità riprodotti goffamente sulla scena con la pretesa di essere naturali. Un essere umano che cerca di imitare un essere umano. Per intenderci è come se il nostro gatto d’un tratto si atteggiasse a movenze da gatto. Sarebbe uno spettacolo piuttosto deprimente. Il gesto si impone con la nascita del cinema, la grande occasione mancata di restituire al teatro la propria natura astratta. L’attore di cinema che sale su un palcoscenico non può far altro che mostrarsi, fare le facce, ammiccare, gesticolare. Ne consegue una società che recita surrogati cinematografici di emotività.
Azione:
si potrebbe accertare il conclamarsi dell’azione con la nascita del grande teatro elisabettiano, e con Shakespeare in particolare, i cui personaggi sono dotati di una biografia percepibile da una sola entrata in scena. Nel confrontarsi con simili testi l’attore ha imparato l’azione: l’azione di un corpo in tensione a seguito di una (si spera sempre meno cosciente e condizionata) intenzione. Il corpo agisce l’emozione connessa con il personaggio. Non la vive ma la agisce.
Atto:
l’atto appartiene al periodo geniale dell’umanità, l’infanzia perduta del teatro greco, prima che Dioniso fosse definitivamente esiliato dalla scena, momento sempre più raro di perfezione, azione non premeditata, assolutamente perfetta e insostituibile… ciò che non si può voler cambiare. L’attore crea l’involucro dell’emozione, un esoscheletro che danza e che deve restare vuoto.
“Parola-canto-mantra”.
Si tratta dell’equivalente sonoro di quanto sopra esposto.
Parola:
nella prosa la parola si limita a trasmettere una informazione. La parola significa.
Canto:
la ma parola in teatro è anzitutto canto, suono musicale che incanta. Mantra: la parola come veicolo o strumento del pensiero o del pensare. Il mantra non significa, e non si limita a suonare. Il mantra agisce. Distrugge il linguaggio per accedere ad esperienze altre. Ma racchiude anche una intenzione, un pensiero e chi esegue il mantra deve essere consapevole delle parole (diremmo del sottotesto) il quale dovrà essere legato a uno specifico sentimento.
“Videor ut video”.
Sono visto affinché io veda. La scritta incombe dal rosone del teatro degli illuminati di Città di Castello. Ma a chi si rivolge la scritta all’attore o allo spettatore? in entrambi i casi il fenomeno determinante è la rifrazione. Un analogo ribaltamento al passivo lo si potrebbe applicare al cartesiano Cogito ergo sum. “Penso dunque sono” diviene Cogitor, ergo sum, “Sono pensato quindi sono”. In entrambi i casi la passività rimanda all’immagine allegorica dello specchio, prodigioso strumento rivelatore. Reggere lo specchio alla natura, dice Amleto, dovrebbe essere l’esercizio del teatro.
“La danza delle ossa”.
Il corpo che danza, danza dall’interno. È lo scheletro che agisce, i muscoli sono solo sostegni e gli arti periferiche risonanze. Come nelle arti marziali la forza è nel centro, nella connessione tra il bacino e la colonna vertebrale. L’eleganza è data dallo scheletro mai dall’involucro.
“Memoria involontaria delle membra | Il corpo vita”.
La vita si deposita sulla pelle facendola tremare di facili emozioni ma sprofonda nella carne e si iscrive nel corpo. È il corpo che ricorda. Nel corso della vita i ricordi si depositano come polvere sulla pelle per poi sprofondare e dissolversi nel corpo. Le rughe che solcano i vecchi visi sono come pentagrammi sui quali la vita ha composto la propria melodia, guardandoli se ne possono percepire gli echi lontani. Ma soprattutto la struttura ossea, muscolare e il disegno stesso del nostro corpo racchiude in sé le esperienze vissute e sempre presenti, e vigili. Memoria fisica è ciò che il corpo fa senza sapere di saperlo fare.—
[Fine prima parte. Segue domani, nel prossimo articolo di “Incognita Quotidiana]
ALESSANDRO SERRA:
Pluripremiato regista teatrale dell’opera MACBETTU, fondatore della Compagnia Teatropersona, i cui spettacoli sono stati presentati in tutto il mondo, si forma come attore a partire dallo studio delle azioni fisiche e dei canti vibratori nel solco della tradizione di Grotowski per poi arrivare alle leggi oggettive del movimento di scena trascritte da Mejerchol’d e Decroux. Integra la sua formazione teatrale con le arti marziali che pratica sin da giovanissimo. Nel frattempo si laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo all’Università la Sapienza di Roma con una tesi sulla drammaturgia dell’immagine. Fondamentale, negli ultimi anni di formazione, l’incontro con Yves Lebreton e il suo metodo del Teatro Corporeo.La sua recente regia porta in scena il celebre capolavoro di Cechov “Il giardino dei ciliegi”, un omaggio allo sguardo bambino come origine di tutte le cose e luogo della rivolta permanente.
N.B.: I posti disponibili per il Seminario a numero chiuso sono terminati. È aperta la lista d’attesa per eventuali posti disponibili per gli esclusi. Contattare la Segreteria.
Segreteria di Incognita:
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