Una pellicola di forza dirompente, nella quale vediamo riflessi, come in uno specchio, noi stessi e i tempi in cui ci troviamo a vivere.

Unica regia dell’attore americano Charles Laughton, “The night of the Hunter” (1955) è una pellicola in B/N tratta dall’omonimo romanzo di Davis Grubb.
Di primo acchito ci addentra nello spaccato dell’America anni ’30, bigotta e tradizionalista, attraverso un sedicente predicatore evangelico, Harry Powell, col vizio di dare la caccia a vedove danarose.
Allo sguardo che si addentra in profondità, il film regala una visuale a 360° sulla natura umana, con molteplici livelli di lettura.

Il falso predicatore (Robert Mitchum) è un uomo disturbato, inquietante. Sulle dita della mano destra porta tatuata la parola LOVE; HATE sulla quella sinistra. Sa recitare molto bene la parte dell’uomo gentile e premuroso; sa esercitare il suo diabolico fascino sulle folle, che lo seguono acclamandolo, e sulle donne che cadono nelle sue trappole. Il suo appeal non è solo tipico dello psicopatico e del narcisista, ma è lo specchio attuale della nostra società disorientata, delle multinazionali che attraverso i media contrabbandano immagini di se stesse e del mondo edulcorate e scintillanti (la famigliola del Mulino bianco, le fattorie con animali che vivono felici, le miracolose medicine che salvano l’umanità dalle malattie), salvo poi coprire con questa propaganda nefandezze di ogni genere perpetrate a danno dell’ecosistema, degli animali e degli esseri umani.

Questa doppiezza che offusca è – per intenderci – la stessa immagine perturbante sulla copertina dell’ultimo libro di Gianluca Magi, con un Goebbels che fa bella mostra di sé vestito a puntino, sorridente – ma è un compiaciuto ghigno sardonico – e con un bel mazzo di fiori in mano.
Cito questa copertina perché la dissonanza cognitiva dell’immagine, tratteggiata come fosse tremula, è dirompente e lumeggia quella doppiezza in cui cadiamo come facili prede.

La vedova Willa (l’attrice Shelly Winters) è l’ultima conquista del falso predicatore: ella cade nella sua mefistofelica ragnatela, lo sposa, cedendo all’umana debolezza, al giudizio dell’opinione altrui o forse cedendo alla convinzione di non potercela fare da sola; ad un certo punto, ma troppo tardi, comprende di essere stata raggirata e paga con la vita il suo ridestarsi alla consapevolezza: Powell la uccide e getta l’automobile col cadavere di Willa nel lago.
L’immagine del cadavere della donna sott’acqua, con i capelli che ondeggiano come alghe, è una scena così potente che sarà citata a più riprese nella storia del cinema.

I figli di Willa sono due bambini, che in virtù del loro essere bambini, vedono la realtà senza filtri e comprendono fin da subito che non possono fidarsi del nuovo patrigno. Fuggono con la bambola di pezza nella quale il padre naturale aveva nascosto un bottino in denaro con la promessa di non rivelarne a nessuno l’esistenza. Per i bimbi mantenere il segreto è un vincolo sacro. La loro fuga notturna su una barchetta lungo il fiume è raccontata in modo splendido dal regista: immagini in B/N fiabesche e oniriche, con una fotografia gotica ed espressionistica che rapisce lo spettatore.
I bambini sono i grandi depositari dell’immaginazione e del sesto senso: con pochissimi condizionamenti, sono in grado di leggere la realtà con franchezza, di allearsi coi minerali, vegetali e animali e di tesoreggiare la forza della verità e del principio interiore.

Ed ecco farsi largo nel film una meravigliosa figura femminile: l’anziana Mrs Rachel Cooper. Ella accoglie i bambini in fuga, non si fa abbindolare dal falso predicatore, lo decifra all’istante: Harry Powell è un essere diabolico.
Mrs Rachel Cooper è una donna che ha sofferto, ma che ha riconquistato una saggezza originaria, il buon fiuto del cane da tartufo e che sa circondarsi solo di chi è in grado di comprenderla, tenendosi distante dalle folle.

Il mistificatore verrà infine smascherato, arrestato, rischiando il linciaggio della folla inferocita, la stessa che lo aveva acclamato poco tempo prima.

Questa fiaba in pellicola, ricca di archetipi, è stata messa in scena in modo mai banale o retorico, intrecciando vari livelli di comprensione e mille sfumature sulla natura umana.
Niente è come sembra. Tutti i personaggi incontrati sono anche l’esatto loro contrario.

Nessuno può restare indifferente alla visione di questo capolavoro del regista Charles Laughton. Che sospinge a confrontarci con la nostra ombra.
L’ombra ci insegue lungo il fiume della vita e continuerà a farci paura sinché non la affronteremo e le daremo riconoscimento.
Il diabolico in noi può così passare la sua ultima “notte da predatore”.

Fonti:
• “La morte corre sul fiume” (1955) regia di Charles Laughton.
• Gianluca Magi, “Goebbels. 11 tattiche di manipolazione oscura”, Prefazione di Jean-Paul Fitoussi, Piano B, 2021: https://amzn.to/3umkWUn

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