Sei anni prima di morire, Albert Einstein scrisse una lettera di risposta di bellezza adamantina. Degna di Padmasambhava. Qui tradotta per la prima volta in italiano.

Einstein era a Princeton. Aveva settant’anni. Ricevette una lettera di un rabbino. Spiegava di aver cercato invano di consolare la figlia diciannovenne per la morte di sua sorella, «una bambina senza peccato, bella e sedicenne».
La lettera di risposta che Einstein gli scrisse è di bellezza adamantina. Degna di Padmasambhava.

«Un essere umano è una parte, limitata nel tempo e nello spazio, di quel tutto che chiamiamo “Universo”.
Un essere umano sperimenta se stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto: una sorta di illusione ottica della sua coscienza. Tale illusione è per noi una specie di prigione, che ci vincola ai nostri desideri personali e all’affetto per poche persone a noi vicine.
Il nostro compito dev’essere quello di liberarci dalla prigione ampliando il nostro cerchio di compassione per abbracciare tutte le creature viventi e l’intero complesso della natura nella sua bellezza».

A Princeton, sei anni dopo, il 18 aprile 1955, Einstein morì. Aveva settantasei anni.
Sino alla fine fu irremovibile: non volle un’esposizione pubblica e chiese di essere cremato senza alcuna cerimonia.
Le sue ceneri furono disperse in un luogo mai reso noto.

◼︎ Tratto da: Franco Battiato e Gianluca Magi, Lo stato intermedio (Piano B, 2021), pp. 67-68.

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